Il melo selvatico appartiene alla famiglia delle rosacee, che con circa 20 specie è ben presente in gran parte dell'Europa, nell'Asia occidentale e nel Nord America. Il melo selvatico europeo (Malus sylvestris) predilige stazioni ricche di sostanze nutritive, leggermente umide e in casi eccezionali può raggiungere quote fino a 1'300 metri sul livello del mare.
Aspetto e caratteristiche
Il fusto del melo selvatico, che spesso assume una forma arbustiva, è corto, con andamento piuttosto ricurvo e tortuoso. La sua chioma ha la forma di ombrello, è ampia ed è composta da rami sporgenti e di solito ricoperti di spine. La sottile corteccia - in gioventù di colore rosso pallido, diviene in seguito marrone grigiastra, tendendo a screpolarsi e formare delle scaglie. I meli selvatici sono alti da 5 a 10 metri e arrivano al massimo a 100 anni di età.
Tra la fine di aprile e la metà di maggio sbocciano i fiori provvisti di corolla di forma quasi circolare. Sono assai profumati e disposti in corimbi. I fiori, peraltro non molto abbondanti, sono di colore bianco all'interno e piuttosto rosa chiaro all'esterno. Le foglie del melo selvatico sono ovali, lunghe da 4 a10 cm e larghe 5 cm e possiedono un margine dentellato-seghettato. Contrariamente ai meli coltivati, la pagina inferiore delle foglie è quasi totalmente priva di una peluria biancastra.
Le mele - che in senso botanico sono dei falsi frutti - hanno un picciolo corto, sono di forma piuttosto arrotondata e misurano da 2 a 4 cm di diametro. Esse sono di colore verde giallastro, leggermente rosato sul lato esposto al sole.
Fig. 2 - Il melo selvatico fiorisce circa tra la fine di aprile a la metà di maggio. Foto: H. Zell/Wikipedia
Impiego e importanza ecologica
L'alto contenuto di tannini fa sì che le piccole mele abbiano un sapore asprigno. Sono commestibili solo dopo i primi geli autunnali e possono ad esempio essere utilizzate per preparare delle gelatine o messe sotto grappa o alcool in infusione ("pomino"). Nel Medioevo, i frutti aciduli, erano utilizzati per conservare le derrate alimentari e per insaporire insalate.
Il legno, di colore bianco rosato nell'alburno e piuttosto bruno-rossastro nel durame, possiede una fibratura fine e, soprattutto a causa della sua durezza, era particolarmente apprezzato da tornitori, scultori e intarsiatori. Con esso questi artigiani creavano, tra gli altri, ingranaggi per orologi, gioghi, ruote, meccanismi e viti di legno. I tronchi più belli venivano trattati al vapore e usati per produrre tranciati impiegati per rivestire e decorare mobili pregiati. Se si fa astrazione di questi usi del legno, le parti legnose avevano una scarsa utilità e le piante venivano quindi spesso tagliate o estirpate dai campi e dai boschetti dove crescevano. Nel frattempo vi è stato tuttavia un ripensamento, dopo che è stata riconosciuta l'importanza ecologica del melo selvatico.
Grazie alla sua fitta ramificazione i meli selvatici sono spesso rifugio e nascondiglio per molti piccoli animali. Uccelli che nidificano nelle cavità come la civetta apprezzano le buche e le cavità che spesso trovano lungo i suoi tronchi. Anche i pipistrelli usano tali spazi quali luoghi di sosta durante il giorno, mentre i frutti alimentano vari erbivori come ad esempio il tasso.
Aspetti culturali e etimologici
L'esistenza del melo selvatico è testimoniata già nel periodo del Neolitico. In insediamenti preistorici sono infatti stati identificati resti carbonizzati di mele selvatiche. Si ritiene che circa 6'000 anni fa l'uomo avviò la coltivazione del melo selvatico. Tuttavia, non è stato finora possibile provare con certezza che i meli attualmente coltivati discendano dal melo selvatico europeo. Gli studi genetici indicano piuttosto che il melo coltivato sarebbe un prodotto ibrido risultante dal melo selvatico di origine asiatica. L'etimo in italiano ha origine pre-indoeuropea, con il termine generico che deriva dal greco "malon", passato al latino "malum" (tardo latino melum). L'attributo specifico "silvestre", sempre dal latino, indica una "pianta che si trova nei boschi".
Il termine tedesco "Apfelbaum" deriva dal tedesco arcaico "aful", "afil" o "afful", derivati da "apholtra" o "affaltra". Quest'ultimo deriverebbe dai termini celtici "afal" (melo) e "tra" (albero). Toponimi conosciuti sono per esempio "Apfeldorf", "Apfelbach" e "Apolda", che testimoniano la stretta connessione delle persone con l'albero delle mele.
Fig. 3 - Stemma del Comune di Affoltern nella Emmental raffigurante una pianta di melo.
Foto: Aliman5040/Wikipedia
Fig. 4 - Francobollo speciale dedicato al melo selvatico emesso nel luglio del 1945 dal Comune di Apolda (Turingia).
Foto: Koni Häne
Il melo è presente in vari proverbi: "le mele non cadono lontano dall'albero" (sia in italiano che in tedesco) o "mordere una mela acerba" (in tedesco). Il detto più famoso proviene dall'inglese e recita "una mela al giorno toglie il medico di torno". Inoltre è noto il detto “basta una sola mela marcia per far marcire tutte le altre”. Un detto popolare in uso a Stabio (Mendrisiotto) riprende il soggetto asserendo che "la pioggia che viene da Como non basta neanche per lavare le mele". Celebre infine il racconto biblico che nel Paradiso dopo il morso proibito, la mela sarebbe presumibilmente rimasta bloccata nella gola di Adamo, dando così origine al "Pomo di Adamo".
Dal punto di vista svizzero il più famoso riferimento a questo frutto è evidentemente quello legato a Guglielmo Tell, che con un leggendario tiro effettuato con la sua balestra, colpì una mela posata sulla testa del proprio figlio.
Il melo selvatico in Svizzera
Secondo i dati dell'Inventario Forestale Nazionale della Svizzera, vi sono in tutto il Paese circa 36'000 alberi di meli selvatici con diametro a petto d'uomo (=diametro del tronco a 1,30 m), di almeno 12 centimetri. In aggiunta vi sono probabilmente diverse migliaia di giovani alberelli appartenenti alla categoria della rigenerazione naturale, oltre che un certo numero di alberelli piantati nel corso degli ultimi 10 anni in occasione di campagne di rimboschimento con specie rare.
I collaboratori del vivaio dell'Istituto federale di ricerca WSL di Birmensdorf ZH ogni anno coltivano alcune centinaia di meli selvatici. Per la raccolta dei semi essi raccolgono ogni anno da 50 a 150 kg di mele selvatiche. Non raggiungendo neppure un rendimento di semi dello 0,5%, i prezzi dei semi del melo selvatico, molto richiesti dal mercato, sono corrispondentemente elevati e raggiungono i 1'000.- CHF per kg.
Promuovere i meli selvatici
I meli selvatici necessitano nel nostro sostegno, possibile attraverso diverse vie. Sia nella funzione di selvicoltore o di forestale attivo nei nostri boschi, o come un contadino o giardiniere che opera nel nostro paesaggio culturale, o anche come semplice consumatore o amatore che gestisce le nostre aree residenziali. Dove possibile, perché non piantare uno o più meli selvatici?
Fonti
- Kuratorium Baum des Jahres
- Anton Burkart, Eidg. Forschungsanstalt WSL: indicazioni inviate per E-Mail
- Guggenbühl, P. (1962): Unsere einheimischen Nutzhölzer. Die gebräuchlichen Holzarten Mittel- und Nordeuropas. Zürich, Stocker-Schmid, 1962. 406 S.
- Laudert, D. (2000): Mythos Baum. Geschichte, Brauchtum, 40 Baumporträts. 5., überarb. Aufl.. 2003. 256 S. ISBN: 3-405-16640-3.
- Brändli U. -B. (Red.) 2010; Schweizerisches Landesforstinventar. Ergebnisse der dritten Erhebung 2004—2006. Birmensdorf. Eidgenössische Forschungsanstalt für Wald, Schnee und Landschaft WSL. Bern Bundesamt für Umwelt, BAFU. 312 S.
Traduzione: Fulvio Giudici (S.Antonino)