Diversamente dalle tempeste di vento, gli incendi boschivi sono un disturbo storicamente raro nelle faggete centro-europee. Lunghi periodi di siccità possono tuttavia disidratare la lettiera, la necromassa e gli orizzonti organici del suolo anche nelle faggete, creando una struttura dei combustibili di superficie più porosa e quindi infiammabile. In queste condizioni le faggete possono prendere facilmente fuoco e sostenere una combustione intensa, difficile da estinguere. Esempi in questo senso sono le ondate di calore e siccità che negli anni 2003, 2017 e 2018 hanno causato, soprattutto al Sud delle Alpi, incendi di vaste proporzioni in faggeta.
A differenza degli incendi di chioma ad alta intensità, che in Europa si verificano soprattutto nelle aree mediterranee e nei popolamenti di conifere delle valli alpine centrali, nelle faggete montane gli incendi sono soprattutto radenti. Il fuoco di regola interessa i combustibili di superficie e consuma solo la lettiera, gli strati superiori di humus, la necromassa a terra di minori dimensioni e le erbe e gli arbusti eventualmente presenti nel sottobosco. Tuttavia, in caso di condizioni meteorologiche molto secche e ventose, gli incendi in faggeta possono estendersi su superfici vaste e, in presenza di chiome disidratate per la siccità durante il periodo vegetativo, il fuoco può interessare anche porzioni di chioma. Una caratteristica degli incendi nelle faggete montane è l’eterogeneità anche su piccola scala del comportamento del fuoco: l’intensità del fronte di fiamma varia infatti in funzione dei differenti livelli di umidità e accumulo di lettiera e necromassa dovuti alla geomorfologia del terreno e porta localmente a un mosaico di situazioni bruciate con differente intensità e severità, tra cui anche parti risparmiate dalle fiamme (fig.1).
Ecologia del fuoco del faggio
Fig. 2. Interazione tra il fronte di fiamma e i fusti di faggio singoli di minori dimensioni (a), singoli e di diametro maggiore (b) o ceppaie policormiche (c). Giallo = elevata esposizione al calore, lungo tempo di permanenza del fuoco; nero = danni letali alla corteccia. Illustrazione: Silvana Wölfle
La sopravvivenza o la rapidità di deperimento dei faggi dopo un incendio dipende dall’interazione tra l’intensità del fuoco, la vitalità e le caratteristiche morfologiche (fig. 2; diametro del tronco, policormia) degli alberi e il rischio di un’infezione fungina secondaria. In generale la probabilità di sopravvivenza è proporzionale al diametro del faggio e diminuisce con l’aumentare della intensità dell’incendio. L’infestazione delle ferite da parte di funghi lignivori può accelerare il processo di deperimento e il rischio di morte dei faggi colpiti dal fuoco. – Dopo incendi ad alta severità, il deperimento è rapido e la maggior parte degli alberi danneggiati dal fuoco muore entro i primi dieci anni. Il processo di morte differita può invece durare fino a 15–20 anni nel caso di incendi a severità da media a bassa.
Video sull'ecologia del fuoco del faggio
Resilienza al fuoco delle faggete
Il fuoco crea condizioni favorevoli per la germinazione e l’attecchimento della rinnovazione del faggio. I semenzali di faggio (altezza ≤ 20 cm) sono favoriti dalla copertura rada degli individui sopravvissuti al fuoco che offre protezione dall’irraggiamento e dalle condizioni ambientali estreme e assicura un’adeguata produzione di semi in loco. Allo stadio di rinnovazione affermata (altezza > 20 cm) i faggi sono invece favoriti dalla crescente luce che giunge al suolo grazie alla progressiva apertura del popolamento colpito dall’incendio. Le specie arboree pioniere hanno un effetto favorevole sulla crescita della rinnovazione del faggio.
Effetto sementifero delle annate di pasciona
Nelle faggete diradate dal passaggio del fuoco, ma con individui da seme ancora vitali, le annate di pasciona generano ondate successive di rinnovazione (fig. 3). La finestra temporale post-incendio favorevole alla rinnovazione può estendersi nel caso del faggio fino a 30 anni dopo l’evento, ma è particolarmente efficace nei primi quindici anni. Fino a che la finestra favorevole alla rinnovazione rimane aperta, ogni pasciona può indurre una nuova generazione di rinnovazione.
Fig. 3. Alta densità di faggiole in fase di germinazione dopo un anno di pasciona in una superficie appena percorsa dal fuoco. Foto: Davide Ascoli
Severità del fuoco e dinamica post-incendio
La severità dell’incendio rispecchia il tasso e la velocità della mortalità all’interno della faggeta colpita e i relativi effetti sulle dinamiche di rinnovazione (fig. 4). Dopo un incendio di faggeta a severità medio-alta vengono subito innescati i processi di rinnovazione attraverso la germinazione e l’attecchimento di semenzali soprattutto di faggio (faggio succede a faggio). In buche medio-piccole (< 0,5 ha) vi è sin dall’inizio una convivenza tra specie pioniere, faggio e altre specie arboree nobili mesofile. In caso di aperture importanti in incendi ad alta severità, il faggio si rinnova spesso sotto la protezione di specie arboree pioniere. Dopo 30 anni dall’incendio di solito il faggio è la specie dominante del nuovo popolamento. Nelle grosse aperture dovute a incendi di alta severità possono affermarsi anche tipologie boschive differenti.
Fig. 4. Rappresentazione schematica della dinamica post-incendio in popolamenti di faggio in funzione della severità del fuoco. Illustrazioni: Silvana Wölfle
Impatto sull’effetto protettivo
In assenza di disturbi le faggete garantiscono un elevato grado di protezione contro la caduta massi o le frane superficiali. Queste funzioni possono essere alterate o addirittura annullate dagli effetti di un incendio. La funzione protettiva dei boschi percorsi da incendi di severità media e alta può temporaneamente diminuire in funzione della dinamica del soprassuolo (crollo del vecchio popolamento, velocità e tipo di rinnovazione post-incendio) e della situazione specifica del pericolo incombente (es. grandezza dei massi pericolanti, acclività, lunghezza della traiettoria nel bosco di protezione). Queste fasi critiche possono perdurare fino a 40 anni dopo l’evento, sono però più probabili nella fascia temporale tra i 5 e 30 anni post-incendio (fig. 5).
Fig. 5. Evoluzione dell’area basimetrica della componente arborea in grado di contribuire alla funzione protettiva del bosco (DPU ≥ 8 cm). La banda azzurra indica la fascia temporale con rischio di deficit di protezione da parte della foresta.
Misure post-incendio
Alla base di qualsiasi decisione sulle misure necessarie dopo un incendio vi sono la valutazione della severità del fuoco, della dinamica in atto nel popolamento e delle conseguenze sulla funzione protettiva che ne risultano. A questo si aggiungono fattori locali che possono influenzare la dinamica post-incendio come la pressione degli ungulati, attacchi parassitari, colonizzazione da parte di specie arboree invasive e l’andamento meteorologico negli anni successivi all’evento.
Le faggete bruciate sono sistemi resilienti che, grazie alla rinnovazione naturale, evolvono di nuovo verso la faggeta nel giro di alcuni decenni. – La dinamica naturale post-incendio può essere sostenuta e accelerata attraverso interventi selvicolturali mirati che tengano conto della severità del fuoco, delle annate di pasciona e delle funzioni prevalenti del bosco. – Dove sono minacciate infrastrutture o vie di comunicazione è necessario abbattere tempestivamente gli alberi danneggiati dal fuoco. – Dove la funzione di protezione del popolamento non può più essere garantita in modo continuo attraverso interventi selvicolturali bisogna forzatamente ricorrere a soluzioni tecniche.
Bibliografia
I riferimenti alla bibliografia utilizzata nel testo sono nell'articolo originale (PDF).
La pubblicazione stampata Ecologia del fuoco delle faggete in ambiente montano Servizi ecosistemici e misure selvicolturali post-incendio possono essere ordinati gratuitamente al WSL:
Indirizzo dell'ordine
WSL e-shop
Zürcherstrasse 111
CH-8903 Birmensdorf
e-shop@wsl.ch