La discussione non potrebbe essere più controversa: il servizio cantonale di Zurigo competente in materia di conservazione della natura raccomanda infatti per tutelare gli ambienti secchi, di lottare attivamente contro la robinia (Robinia pseudoacacia), se necessario anche utilizzando degli erbicidi. Poco tempo dopo appare sulla rivista selvicolturale francese "Forêt-entreprise 11/2007" un dossier, che mostra, documentandolo con numerosi dati, i benefici ambientali, selvicolturali, tecnici e produttivi della Robinia.

In Svizzera Nobis (2008) constata, occupandosi delle cosiddette "Liste Nere" nel contesto del monitoraggio alla biodiversità, che la robinia è di gran lunga la specie neofita più comune nei boschi e che possiede un temperamento invasivo nelle stazioni più calde e asciutte. D'altra parte, la robinia è considerata un'alternativa possibile per gestire secondo, metodi selvicolturali, le aree marginali in un contesto di mutamenti climatici. E' pertanto comprensibile che i proprietari delle foreste e gli operatori dei servizi forestali reagiscano in modo irritato a questi messaggi contraddittori.

La robinia vista come il diavolo in terra

La robinia è considerata come una specie arborea pioniere in grado di insediarsi in modo piuttosto efficiente nelle aree ruderali e percorse dagli incendi boschivi. Anche le praterie secche sono ambienti che ben si addicono a questa specie. Il vantaggio competitivo della robinia, dato dalla sua capacità di fissare nel suolo l'azoto atmosferico, si rileva controproducente dal punto di vista della conservazione della natura. Infatti, a seguito dell'arricchimento dei suoli in termini di azoto, le piante più rare finiscono per essere estromesse da questi ambienti, avversate da altre piante erbacee come le ortiche. Pertanto, su stazioni particolari, la robinia non sembra essere una specie forestale apprezzata dal punto di vista della conservazione della natura.

Un proprietario boschivo nella regione austriaca della Marchaue si è ad esempio preoccupato degli effetti sulla flora autoctona, che veniva palesemente e progressivamente contrastata dalla robinia. Questa era infatti composta da uno strato arboreo di frassini (Fraxinus excelsior e Fraxinus angustifolia), peri selvatici, oltre che da varie specie di pioppo e di salice. Ovunque laddove per cause naturali o a seguito di interventi selvicolturali si creavano delle radure, la robinia si insediava con successo.

In preda alla disperazione il gestore del bosco ha cercato di contrastare la robinia, combattendola tramite tagli rasi e ripetuti interventi di sfalcio. Perlomeno in questo caso non sono stati usati prodotti erbicidi come il "Roundup", anche se il passo in questa direzione è abbastanza ovvio, specialmente all'estero. Nelle regioni americane di origine della robinia, questo genere di pratiche sono abbastanza correnti mentre in Svizzera, per contro, qualsiasi uso di erbicidi è vietato all'interno delle foreste, senza eccezioni.

I metodi di lotta consistenti nei tagli rasi e nel decespugliamento ripetuto difficilmente sono coronati da successo poiché le robinie continuano ad emettere polloni radicali mentre anche le loro ceppaie, giovani e vigorose, possiedono un'elevata capacità pollonifera. Con questi metodi radicali, spesso si ottengono solo effetti contrari! Esperienze analoghe sono peraltro fatte regolarmente anche da chi si occupa della manutenzione e dello sfalcio delle scarpate lungo le strade e le linee ferroviarie. Inoltre si deve tener conto che le riserve di semi della robinia possono sopravvivere nel terreno anche per più di dieci anni per poi improvvisamente germinare non appena è disponibile abbastanza luce.

Esperienze migliori sono invece state fatte con interventi di anellatura degli alberi in piedi, avendo tuttavia cura che la corteccia sia completamente rimossa su tutta la circonferenza e per una profondità sufficiente. Nell'anno successivo, il lavoro deve tuttavia essere controllato e se del caso ripetuto: si tratta quindi di un metodo relativamente oneroso.

Chi intende combattere a lungo termine la robinia, trattandosi di una specie eliofila, deve riuscire a metterla in condizioni di ombreggiamento. Ma come è possibile fare questo, considerando che la robinia, su stazioni a lei congeniali, dopo 6 anni è in grado di raggiungere altezze di oltre 7 metri? Tutte le specie forestali che potrebbero produrre ombra - ad eccezione forse solo degli olmi – sulle stesse stazioni crescono infatti molto più lentamente. Tuttavia piante come i tigli, i carpini bianchi, i castagni o - in condizioni di sufficiente umidità e precipitazioni - eventualmente anche gli aceri, i faggi e gli abeti bianchi possono, dopo due o tre decine d’anni, superare in altezza le detestate robinie, togliendo così loro la luce di cui hanno bisogno. Autori riferiscono comunque anche di casi di intolleranza verso altre specie arboree come il faggio, la betulla, l'olmo o la farnia, probabilmente a causa della produzione di sostanze allelopatiche secrete dalle radici, che sono in grado di limitare la crescita di alberi vicini. Pazienza e voglia sperimentazione selvicolturale sono quindi richieste, se si vuole evitare di ricorrere a metodi radicali e onerosi.

La robinia quale investimento lucrativo

Da alcune regioni dell'Europa caratterizzate da temperature miti e da scarse precipitazioni estive, per esempio dell'Ungheria, della Francia, dell'Italia o della Romania, giungono notizie di esperienze positive avute con la robinia. In particolare tramite colture create con provenienze selezionate e nelle quali ci si è impegnati con interventi di cura, potature incluse, che promettono dei valori aggiunti per ettaro sorprendenti, considerando anche i tempi di produzione relativamente rapidi. Su parcelle sperimentali nella Valle della Loira (F) si arriva al culmine della produzione già dopo 7 anni, con mediamente 6 t di sostanza secca (TS) per ha e anno. Un popolamento di 15 anni raggiunge circa le 80 t TS per ogni ha, dato che con l’aumento della richiesta di legna da energia risulta essere assai interessante. Quale paragone, le tavole alsometriche elevetiche per l’abete rosso con classe di fertilità 26 (n.d.t.: si tratta di boschi che raggiungono 26 m di altezza dominante a 50 anni) indicano una biomassa utilizzabile di circa 20 t TS/ha prodotte in 20 anni.

Anche una provvigione di 325 m3/ha prodotta in 25 anni con degli incrementi medi annuali di 13 m3/ha su buone stazioni lascia esterrefatti i forestali. Tuttavia specialisti francesi raccomandano comunque di adottare dei turni di produzione di 40 anni, allo scopo di ottenere alberi sufficientemente grossi per produrre legname da sega, anche se diametri dei tronchi > 22 cm sopra corteccia sarebbero già sufficienti. Per questo legname in Francia vengono pagati 120–150 CHF/m3 franco industria.

Un produttore di Parquet spiega inoltre, nel numero speciale della rivista citata, che il legno della robinia è tanto più duro quanto più rapidamente è cresciuta la pianta. Questo argomento parla a favore di interventi di diradamento e di messa in luce degli alberi scelti piuttosto tempestivo e forte – da attuare di regola non appena si sono raggiunte lunghezze dei tronchi prive di rami dai 2,5 ai 4 m. Il legno proveniente dagli interventi di cura e diradamento viene sfruttato soprattutto per ricavare assortimenti da energia, ma anche paleria, assai richiesta, assortimento che presenta caratteristiche simili a quelle conosciute in Ticino per il castagno. Grazie alla produzione di questo tipo di paleria, già il secondo intervento di diradamento assicura la copertura dei costi. Per sapere se queste cifre siano applicabili anche in un Paese con elevati livelli salariali come la Svizzera, sarebbero necessarie indagini più dettagliate.

Alcuni aspetti selvicolturali

Sul tema della selvicoltura della robinia in soprassuoli misti e generati da ringiovanimenti naturali, vi sono pochi dati disponibili. È stato riferito che le mescolanze con tigli, querce e pini silvestri funzionano bene. Analogamente a quanto avviene con altre specie bisognose in fatto di luce e amanti del caldo potrebbe tuttavia essere difficile mantenere singoli esemplari di robinia in popolamenti misti, senza dover ricorrere a interventi di cura intensivi. Una mescolanza per gruppi potrebbe per contro dare esiti migliori.

Risultati molto dettagliati sono invece disponibili per piantagioni o per popolamenti creati tramite semine dirette, esperienze che all’estero sono principalmente state acquisite su terreni agricoli non più coltivati. E' significativo sottolineare che vale la pena riceduare le ceppaie a livello del terreno per mezzo di una fresatrice pesante, allorquando i polloni giovani hanno raggiunto i 3-4 metri di altezza, rompendo leggermente il terreno in modo da stimolare l'emissione di nuovi polloni radicali. In un anno i nuovi polloni crescono così fino a 2-3 metri di altezza e di solito possiedono un tronco rettilineo. Particolare da tenere presente è che dopo gli interventi di sfollo successivi, i polloni tendono fortemente a formare dei rami epicormici (succhioni) per una durata a cinque anni dopo l'intervento. A causa della breve durata dei turni, si opera con 450-600 alberi a fine turno per ettaro, densità che corrisponde a una distanza media di 4 - 5 m tra i fusti. Grazie alla capacità di fissare l'azoto, la robinia è una specie idonea per la preparazione del terreno in vista dell'impianto di altre specie arboree esigenti.

La robinia è adatta anche per il trattamento tramite ceduazione, soprattutto se la produzione di legna da energia è auspicata. Il vantaggio di questo tipo di governo dei boschi consiste nel fatto che, di principio, non sono necessari interventi di cura. Inoltre si può lavorare con una buona ottimizzazione delle produzioni, ottenibili tramite turni assai brevi. Tuttavia è da tenere conto che la capacità pollonifera delle ceppaie si riduce dopo due o tre rotazioni.

Condizioni stazionali

Nella parte centrale dell'areale di provenienza originale, negli Appalachi degli USA, la robinia cresce come specie pioniere a quote comprese tra i 150 e i 1'500 m. Questi territori si caratterizzano da forti precipitazioni (1'000 fino a 1'800 mm per anno), inverni miti ed estati calde. Il fabbisogno di luce delle robinie è assai elevato. Nel suo territorio d’origine, esse vengono in seguito sovrastate dai liriodendri (Liriodendron tulipifera) ancor più performanti.

I territori di coltivazione in Europa e Asia sono in genere decisamente più secchi. Le indicazioni sulla resistenza al freddo invernale sono contrastanti: Schütt (2006) mette in guardia dai rigidi geli invernali, mentre il sito www.baumkunde.de riferische che la robinia resiste al gelo fino a –28° e –32°C, temperature, che nei climi continentali del sud-est europeo sono tutt’altro che impossibili. In estrema sintesi si può affermare che la robinia cresce molto bene nel clima idoneo alla coltivazione della vite.

La robinia necessita di terreni leggeri, ben arieggiati, che possono anche avere poco nutrimento. Questo perché le specie di Rhizo­bium che vivono attorno alle radici forniscono all’albero stesso l’azoto di cui esse necessitano. Sono preferibili suoli con valori alti di pH, ma la robinia è comunque assai tollerante a questo riguardo.

Tentativo di una valutazione globale della robinia

Secondo Schüttet al. (2006) nel1601 Jean Robin introdusse questa specie arborea a Parigi prelevandola dallo stato americano della Virginia, perché fu affascinato dalla sua bellezza. Presto essa cominciò la sua marcia trionfale attraverso l’Europa e più tardi anche in Asia. In particolare nella Corea del Sud e più recentemente anche in Cina, la robinia venne piantata in grande stile. Oggi essa viene considerata a livello mondiale, dopo il pioppo e l'eucalipto, come la terza specie più diffusa nelle piantagioni. Questa dominanza a livello mondiale può tuttavia comportare anche un certo rischio cumulativo, nel caso in cui dovessero apparire nuove malattie o parassiti. Da evidenziare inoltre la velenosità per uomini e alcune specie animali, che ha portato al divieto di una sua coltura in Australia.

La robinia possiede un sistema radicale a crescita molto rapida, in grado si consolidare il terreno e capace di raggiungere anche i 7 metri di profondità sui substrati più leggeri. Offre quindi in poco tempo un‘eccellente protezione all’erosione. D’altro canto essa s'insedia anche in ecosistemi sensibili come le praterie secche, vecchi boschi golenali oppure nei boschi xerofili. Possiede inoltre il potenziale per soppiantare altre specie arboree, nonostante non tolleri l‘ombra.

In ambito urbano la robinia gode di un posto privilegiato grazie ai suoi fiori attraenti, al fogliame non troppo denso, alla crescita iniziale rapida, alle dimensioni delle chiome facilmente controllabili e alla sua tolleranza al sale. Tra gli apicoltori la robinia è molto apprezzata per la produzione di miele. Il suo legno è un buon sostituto dei legnami tropicali e ha prestazioni ineguagliabili per quanto riguarda durezza (Brinell), resistenza agli urti e alla trazione oltre alla durabilità di lunga durata senza impregnazione. Questi vantaggi fanno si che i prodotti legnosi siano durevoli nel tempo, aspetto che viene considerato positivamente in un bilancio ecologico globale.

Nella terminologia la robinia sembra quindi essersi trasformata da albero ospite a pianta esotica con temperamento invasivo! Con quale giustificazione? I vantaggi e gli svantaggi a livello ecologico sembrano essere praticamente equivalenti:

Se la robinia viene utilizzata in contesti selvicolturali ben definiti e impiegata per ottenere prodotti ad elevato valore, allora la specie e la rispettiva selvicoltura sono decisamente sostenibili da un punto di vista ecologico globale. Se però la robinia si diffonde in ecosistemi boschivi particolari e si sviluppa senza perseguire obiettivi consapevolmente definiti e criteri qualitativi, allora chi è responsabile della gestione forestale deve riconoscere il problema, operando sul lungo termine per mezzo di strategie di tipo difensivo. Anche nelle zone che confinano con aree naturali protette la robinia non deve trovare spazio.

Ciononostante, in risposta alle sfide emergenti come la massima produzione di risorse rinnovabili, in stazioni forestali relativamente povere oppure laddove occorre proteggere dall’erosione i terreni su territori scoscesi o abbandonati, è indispensabile saper rivalutare, senza pregiudizi, l'idoneità e la sostenibilità di questa specie.

Traduzione: Fulvio Giudici, S.Antonino